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La responsabilità degli amministratori e l’adozione di Mod. organizzativi 231

In relazione all’applicazione del D.Lgs. 231/01 si pone la questione se, “condannato” l’ente societario, nell’ambito della vicenda penale a causa della condotta dei suoi amministratori, possa esercitare nei confronti di questi ultimi una delle azioni di responsabilità previste dalla vigente normativa civilistica (artt. 2392, 2394 e 2395 c.c.).


L’adozione dei Modelli organizzativi costituisce una precisa scelta di governance: la decisione di identificare il rischio-reato e gestirlo, al fine di ridurre la possibilità che il relativo evento si verifichi, rientra in una politica che deve necessariamente essere definita dai vertici amministrativi dell’ente nel rispetto delle norme che impongono la cura e la vigilanza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (articoli 2381, quinto comma, e 2403 Codice civile; e, con riferimento alle società quotate, articolo 149 Tuf).
Queste norme incidono evidentemente anche sulla responsabilità dell’ente ex D.lgs. n. 231/2001, imponendo agli organi gestori e di controllo, quanto meno, il dovere di verificare l’esposizione al rischio-reato della società amministrata. Non a caso un crescente orientamento giurisprudenziale tende ad affermare la responsabilità civile degli amministratori per omessa adozione dei cosiddetti modelli 231, ravvisandone i presupposti nella loro inerzia a fronte di uno specifico dovere di attivazione dei medesimi.

La valutazione del rischio di commissione reati 231, a ben vedere quindi, non sembra riconducibile a una attività meramente discrezionale; al contrario, gli amministratori hanno un vero e proprio obbligo nell’ambito del più ampio dovere di agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (articolo 2392, primo comma, Codice civile).

La verifica si traduce in un’attività di risk assessment, a seguito della quale gli amministratori potranno deliberare l’adozione del Modello organizzativo, ove i rischi rilevati risultino tali da renderlo necessario, ovvero limitarsi a monitorare periodicamente i rischi, nel caso in cui gli stessi siano risultati accettabili.


Dunque, se da un lato non è possibile rinvenire nel corpus normativo un vero e proprio obbligo giuridico di adozione del modello organizzativo, dall’altro non si può negare che l’inadempimento dell’obbligo di vigilare sul generale andamento della gestione origina una precisa responsabilità in capo agli amministratori. La scelta di compliance al Dlgs 231/2001 rientra così nel più ampio dovere di organizzare in modo adeguato l’impresa gestita, per cui l’amministratore risponde non già per non aver adottato il Modello 231, bensì per aver omesso di valutare l’opportunità di istituire presidi aziendali per la prevenzione dei reati contemplati dal decreto.

Così ragionando gli amministratori sono esposti all’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della società per i danni a essa provocati dall’applicazione delle sanzioni ex decreto 231, che oltre agli interessi economici della società vanno a ledere anche quelli di tutti i soci.

Sul punto ricordiamo che l’art. 2394 c.c. sancisce la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del capitale sociale e che l’azione processuale di risarcimento possa essere esercitata nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei debiti verso i soggetti terzi.


L’art. 2395 c.c. prevede, infatti, che l’esercizio delle azioni di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. non pregiudica il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al singolo creditore che siano stati direttamente lesi da atti colposi o dannosi commessi dagli amministratori della società.

Pertanto, nel caso di violazione di talune delle fattispecie penali che giustificano l’applicazione del D.Lgs. 231/2001, il terzo creditore o il socio singolo possono agire in via risarcitoria nei confronti dell’organo amministrativo per i danni che siano stati loro cagionati in modo diretto ed immediato, essendo per esempio vittime o parti offese da reato, e non già per i c.d. danni cagionati in via riflessa in quanto percuotenti in primis la società medesima o i creditori intesi nella loro globalità.

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