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Inadeguatezza dell’Organismo di vigilanza

Le aziende che devono nominare un organismo di vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/2001, sono molto spesso incerte su chi nominare e se la persona individuata abbia o meno le giuste competenze e possegga i necessari requisiti richiesti.

Questi ultimi sono, lo ricordiamo, l’autonomia ed indipendenza, la professionalità e la continuità d’azione, così come precisati dalle Linee guida di Confindustria.

  1. Quanto all’autonomia dell’organismo di controllo rispetto ai soggetti controllati, essa può essere conseguita sottraendo chi effettua i controlli alla gerarchia aziendale e ponendolo in una posizione di riporto diretto rispetto al vertice aziendale, il quale è, in ultima analisi, responsabile nei confronti del C.d.A. che lo ha nominato e dei soci per l’adozione, l’efficace attuazione ed il funzionamento del modello.
  2. Il requisito della professionalità comporta la presenza in capo ai soggetti responsabili dei controlli delle competenze e tecniche professionali necessarie per l’efficace svolgimento delle attività richieste (es. tecniche di campionamento statistico, di analisi e valutazione dei rischi, metodologie per l’individuazione di frodi, ecc.).
  3. Infine, la continuità di azione, cioè il fatto che l’ organismo di controllo debba dedicarsi a tempo pieno allo svolgimento dei controlli, è necessaria per assicurare che non si verifichino falle nel sistema, determinate da controlli carenti, suscettibili di inficiare il modello.

Interessante sul punto il caso ThyssenKrupp, dove il giudice ha analizzato il l’inadeguatezza della scelta fatta.

Nell’esame circa l’adeguatezza del modello organizzativo di ThyssenKrupp il giudice, ben due anni dopo l’accadimento del fatto, ebbe modo di verificare che “dalle dichiarazioni del […] ing. CAM. [che] testimonia come, purtroppo, nonostante la tragedia avvenuta il 6 dicembre 2007, i vertici di ThyssenKrupp AST s.p.a. continuassero ad occuparsi con superficialità e scarsa attenzione della sicurezza sul lavoro”.

Quanto affermato emerge proprio dalla nomina, quale membro dell’organismo di vigilanza di cui all’art. 6 lettera b), che, secondo la legge, deve essere “dotato di autonomi poteri di vigilanza e di controllo”, allo scopo di implementare tale organismo con un membro “competente” in materia antinfortunistica, dello stesso ing. CAM.: senza neppure preoccuparsi – per questo la Corte si permette di indicare tale scelta come “superficiale e poco attenta” – del fatto, evidente, che il membro deputato ad efficacemente vigilare sull’adozione del “modello” in materia antinfortunistica era lo stesso dirigente del settore ecologia, ambiente e sicurezza; in sostanza, l’ing. CAM., come membro dell’organo di vigilanza, doveva controllare il suo stesso operato».

Si acclara l’inverarsi del classico quis custodiet ipsos custodes?

La circostanza emerge senza possibilità di equivoco dalla testimonianza dell’ing. F. CAM.

Ecco le sue parole in udienza: «Io sono attualmente (e dal 2003, n.d.e.) responsabile dell’ente denominato Ecologia, Ambiente e Sicurezza … il mio ufficio ha due settori.

Una parte si occupa di ambiente e una parte di sicurezza … per quanto riguarda la parte sicurezza, c’è la RSTP alle mie dipendenze con i tecnici ASTP che si occupano di sicurezza … ».

A precisa domanda del Pubblico Ministero, sul fatto che egli dovesse “vigilare anche su se stesso” l’ing. CAM. risponde: « … io … le confesso … che ho avuto qualche dubbio su questo … visto che siamo in Italia. Conflitto di interessi è una locuzione che va di moda. Però ecco ne ho parlato con il nostro legale … ne parlai con l’avv. DE.VO. … Lui mi ha detto che la mia presenza all’interno dell’organismo di vigilanza aveva un po’ il compito di fluidificare, di fare un po’ diciamo da tramite … io faccio ancora parte, sì (dell’organismo di vigilanza, n.d.e.)».

Quindi l’ing. CAM., dirigente responsabile del settore sicurezza sul lavoro, entra a far parte dell’organismo di vigilanza di cui all’art. 6 lettera b) nel dicembre 2007, proprio per la sua competenza in materia di sicurezza e, nonostante i fondati dubbi, da lui stesso sollevati, sulla sua contraddittoria funzione di controllore e di controllato, vi permane certamente oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento (febbraio 2009), quantomeno sino alla data in cui ha reso la sua testimonianza (26/3/2010).

«La Corte ritiene che questa circostanza, di per sé sola, induca a ritenere che il modello adottato, nel periodo preso in considerazione, non poteva essere stato reso operativo, tanto meno in modo efficace, sottolineando che tale organismo deve essere dotato, secondo il citato art. 6, di “autonomi poteri di iniziativa e di controllo”: non è necessario spendere ulteriori parole sulla “autonomia” del controllore quando è la stessa persona fisica del controllato».

In assenza del requisito dell’autonomia e indipendenza, l’OdV non sarebbe certamente in grado di assolvere la propria funzione di garante dell’efficienza e dell’efficacia del Modello, né potrebbe adeguatamente assolvere alle proprie funzioni di controllo. Ciò che, appunto, è stigmatizzato con riferimento al Modello adottato dalla Thyssen.

La Corte, verificata l’assoluta inadeguatezza dell’OdV, non ritiene necessario valutare nello specifico le previsioni del Modello, ritenendo che esso comunque sia svuotato di significato e di cogenza proprio in ragione della nomina di un OdV in aperto conflitto di interessi e, quindi, carente della necessaria autonomia di giudizio e di intervento.

Pertanto, l’autonomia, intesa come assenza di condizionamenti nel controllo e capacità di intervento e di spesa, la professionalità, intesa come esperienza e competenza rispetto alle materie riconducibili al d.lgs. 231/2001 e la continuità di azione, intesa come costanza di intervento, sono conditio sine qua non dell’Organismo, la cui carenza si riverbera sull’efficace attuazione del Modello, rendendolo sostanzialmente inidoneo a fungere da esimente.

Con riferimento all’autonomia ed indipendenza, le Linee guida inoltre precisano che «conformemente alle prime indicazioni giurisprudenziali, i componenti interni dell’Odv non dovrebbero svolgere […] funzioni operative».

In definitiva nella sentenza Thyssen è ribadito tale principio. Per quanto concerne la gestione delle fonti di rischio connesse alla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’Odv dovrà avvalersi della consulenza di tutte le figure aziendali competenti in materia: il responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, gli addetti al servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente, altri addetti al primo soccorso e alle emergenze in caso d’incendio, ecc.

Del resto anche nelle valutazioni implementative fornite agli associati da Confindustria si tende a non inserire fra i membri dell’OdV il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, la figura indicata dal d.lgs. n. 81/2008.

Tale scelta, infatti, inficerebbe proprio uno dei requisiti essenziali dell’OdV: la sua autonomia nell’azione di verifica e di controllo.

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